Tanto tempo fa, con la scusa di sapere il francese, ho avuto l’onore di conoscere Le Courbusier in occasione del conferimento della laurea ad honorem da parte dell’Università di Architettura di Venezia. Avendo fatto il primo esame sul suo casotto situato sulla spiaggia tra Mentone e Roquebrune, glie ne ho parlato, ha voluto vedere il lavoro e gli è piaciuto.
Mi ha chiesto di spupazzarlo per Venezia, cosa che ho fatto con piacere: anche se come persona non era particolarmente simpatico.
E’ stata una fortuna ho imparato un sacco di cose impresse come macigni nelle mie menigi col risultato che le sue parole su Venezia sono diventate l’imput di tutti i miei scritti:
“Il silenzio e la voce umana, questo è il miracolo di Venezia, una città che, all’interno dell’ordine moderno, rimane un dono mandato da Dio, sempre lì, sempre presente, che nessuno deve distruggere”.
Le malore di questa città sono talmente tante da non aver abbastanza lacrime da piangerci sopra. Prima cosa: noi siamo gli eredi degeneri dei nostri antenati, capaci solo di far bagole, distruggere quanto hanno fatto combinando solo guai. Sopratutto siamo quattro gatti.
I foresti comprano un sacco di buchi per venirci a passare le vacanze perché, anche se molti, gli alberghi sono cari e le conseguenze sono catastrofiche: le case costano sempre di più e i veneziani scappano.
Ogni giorno 3.000 persone vengono a lavorare in città la mattina per tornare a casa ingolfando i mezzi pubblici che, tanto per cambiare, incrementano il moto ondoso.
22 milioni di barbari invadono la città ogni anno consumando perfino i masegni, quando usciamo di casa sogniamo di muoverci come funambuli sulle loro teste perché le calli sono impraticabili per la ressa.
Ma c’è un malanno contingente che si può ovviare con poco, si tratta dell’ingresso in laguna dei giganti del mare, giornali locali e stranieri ne parlano tutti i giorni e non succede niente.
Tra venerdì 10 e sabato 11 febbraio una nave cargo carica circa di 5400 tonnellate di sabbia è rimasta in balia delle onde nei pressi di Malamocco, a quanto pare per un errore del comandante, distruggendo cinque peocere. scorso anno un danno simile lo fece una nave russa a Pellestrina.
Quando ero giovane andavo a trovare i nonni con l’Ausonia. Lo spettacolo del sole all’alba visto dall’alto della nave era bellissimo. Oggi i turisti vogliono godere dello stesso panorama e così le navi mostro sfilano nei nostri canai, agevolate dalle escavazioni di sei metri a largo di Sacca Fisola che permettono loro di girarsi. Per chi volesse vedere Venezia dall’alto e scoprirne i segreti, consiglio di salire in cima al campanile di San Giorgio che è dotato anche di ascensore.
Le navi non possono essere eliminate, sono una fonte di ricchezza per la città ma una soluzione sarebbe quella di farle fermare davanti a Malamocco: da lì tutti i visitatori potrebbero ammirare la magica vista del bacino e della città... La gente che deve andare in terra ferma e all'aeroporto può infilarsi nel Canale dei Petroli mentre chi è diretto a Venezia può prendere i mezzi pubblici o privati fino a Santa Elisabetta o recarsi direttamente a San Marco.
Questi mostri ora attraccano qui alla Marittima di San Basegio e creano inquinamento ambientale (moto ondoso, inquinamento acustico, elettrico, ecc.), ma soprattutto, le loro vibrazioni stanno facendo cascare a pezzi il Palazzo Ducale.
Ancora oggi, al momento del cambio di guardia da Paolo Costa a Sandro Trevisanato, si continua a parlare e nessuno fa niente. L’unica cosa fatta è il decreto Clini che vieta l’ingresso delle grandi navi (non oltre le 40 mila tonnellate) nel Bacino di San Marco. Purtroppo perché questo diventi effettivo si rendono necessari altri scavi per delineare nuove rotte e intanto Venezia attende un gigante di 18 piani, la MSC Divina, omaggio a Sofia Loren (La Nuova, domenica 4 marzo 2012). Luigi D’Alpaos, docente di Idraulica dell’Università di Padova, spiega che un nuovo canale provocherebbe danni devastanti alla morfologia della laguna centrale così come ha già fatto il vecchio canale dei Petroli. La laguna è a rischio, “se non si reintroducono sedimenti entro il 2050 scomparirà per diventare un braccio di mare” (Corriere del Veneto, 28 febbraio 2012).
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