Perfino San Marco e il Canale della Giudecca hanno perso tutto il loro splendore di luce.
Nella sua pittura dai contorni sfuocati e dalle tinte così sgranate Mušič rappresenta la tragedia del secolo appena passato, l’incubo dei campi di concentramento ha plasmato la sua anima, ci fa sentire anche sulla nostra pelle i mali di questa società e la sofferenza della sua generazione: per me questa mostra è stata una rivelazione. Conoscevo Zoran e Ida da sempre.
Hanno vissuto nella casa vecchia a San Lio dove Zoran dipingeva nel suo studio in fondo al salone, vicino alle finestre sul Canal Grande da cui entrava la luce da Nord. Da bambina ci correvo coi pattini a rotelle facendo disperare Maria perché strisciavo il terrazzo che lei lucidava con lo spazzettone a suon di unto di gomito. Lo studio di Mušič era la la casa per i miei genitori quando si sono sposati. Io ho sempre visto i mussi dalmati di Zoran così felici quando andavo dalla Ida a portare le prime rose del giardino o i miei gelsomini troppo profumati, che disturbavano Mitterand quando era loro ospite. Parlavamo di mille cose e spesso andavamo a mangiare le granseole all’osteria sotto casa. Questa mostra è un omaggio della Ida al marito nella città che il pittore dalmata ha scelto come sua.
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