lunedì 20 febbraio 2012

Zoran Mušič


All’IstitutoVeneto di Scienze, Lettere e Arti, è organizzata da Giovanna Dal Bon una mostra di Zoran Mušič, intitolata “Estreme Figure”. Sono andata a vederla con Beatrice Rosemberg, amica con la quale mi diverto a girellare per la mia Venezia Segreta. Chiacchieriamo fitto e nella foga di parlare ci perdiamo spesso e finiamo ridendo in una calle morta. Anche questo è un modo di vedere la città, un meandro di calli e canali che nascondono sempre qualche cosa, luoghi che appaiono ogni volta diversi secondo i punti di vista da cui si osservano, creando come risultato una gran confusione anche quando dovremmo sapere benissimo dove siamo. Ma questo è proprio il fascino di Venezia. Le nostre mete sono anche musei e mostre dove, invece di perderci, ci fermiamo davanti alle opere ad osservare e discutere. L’altro giorno siamo andate a vedere la mostra del Maestro, allestita nelle sale superiori di Palazzo Franchetti. Era una giornata di sole, l’ideale per ammirare il giardino affacciato sul Canal Grande attraverso le vetrate dell’incredibile scala neogotica di Camillo Boito. Nel suo genere l’edificio ha un sapore tutto particolare nella ricchezza dei dettagli e del colore. Attraverso una tenda siamo entrate nelle sale dove in una luce fioca emergevano grandi figure piene di mistero, una serie di ritratti emaciati in cui il colore terreo esprime dolore e tragedia, togliendoti quasi il respiro, come un grosso pugno nello stomaco.

Perfino San Marco e il Canale della Giudecca hanno perso tutto il loro splendore di luce.

Nella sua pittura dai contorni sfuocati e dalle tinte così sgranate Mušič rappresenta la tragedia del secolo appena passato, l’incubo dei campi di concentramento ha plasmato la sua anima, ci fa sentire anche sulla nostra pelle i mali di questa società e la sofferenza della sua generazione: per me questa mostra è stata una rivelazione. Conoscevo Zoran e Ida da sempre.

Hanno vissuto nella casa vecchia a San Lio dove Zoran dipingeva nel suo studio in fondo al salone, vicino alle finestre sul Canal Grande da cui entrava la luce da Nord. Da bambina ci correvo coi pattini a rotelle facendo disperare Maria perché strisciavo il terrazzo che lei lucidava con lo spazzettone a suon di unto di gomito. Lo studio di Mušič era la la casa per i miei genitori quando si sono sposati. Io ho sempre visto i mussi dalmati di Zoran così felici quando andavo dalla Ida a portare le prime rose del giardino o i miei gelsomini troppo profumati, che disturbavano Mitterand quando era loro ospite. Parlavamo di mille cose e spesso andavamo a mangiare le granseole all’osteria sotto casa. Questa mostra è un omaggio della Ida al marito nella città che il pittore dalmata ha scelto come sua.

Canale della Giudecca, 1980-90, collezione privata



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