Devo confessare la mia profonda ignoranza, la maggior parte mi sono completamente sconosciuti: di alcuni conosco le opere e forse ci siamo anche detti buon giorno ma, data la mia proverbiale distrazione, non ricordo quando. Tra i vari artisti ho conosciuto Ugo Mulas, che mi ha fotografato secoli fa, e si parla di due miei amici di sempre: Gianni Berengo Gardin e Italo Zannier. Non so quando ho incontrato Gianni per la prima volta, forse per colpa di Fulvio Roiter che mi ha fatto un’istantanea di sorpresa sotto le Procuratie Nuove di Piazza San Marco… la foto era così bella per le ombre e luci da farmi sembrare un’altra persona!
Con Gianni abbiamo fotografato interni di case prestigiose come quella di Anna Venini; a quel tempo lavoravo per suo padre per la rivista Novella, eravamo entrambi in incognito. Gli scatti di Gianni erano così belli da permettermi di organizzargli una mostra al Royal Institute of British Architecture (RIBA) di Londra che ha avuto un tale successo da consacrarlo fotografo professionista.
A quel tempo studiavo architettura a Venezia con Bruno Zevi; le mie foto erano tutt’altro che malvagie. Avevo una Rolley, ancora in vita, una Zaiss i cui soffietti erano tenuti insieme con l’isolante per l’elettricità e una magica Leica, entrambe perse a Rowbero (Kivu, Congo Belga) durante le matata.
La mia passione per la fotografia si perde nei tempo: quando ero piccola Nonno Giulio aveva il suo sancta sanctorum nella casa di Pieve, uno sgabuzzino illuminato da fioche lampadine rosse con bacinelle rettangolari appoggiate su di un tavolo lungo il muro da cui pendeva uno spago con tante mollette da biancheria. Allo sgabuzzino si accedeva attraverso un panno nero: lì dentro le lastre sotto i miei occhi si riempivano di segni scuri e sembravano vive. Gli insegnamenti di Nonno Giulio hanno permesso per anni di adoperare le mie foto per i miei articoli di architettura.
Nonno Giulio e la sua macchina fotografica
Quando frequentavo l’università i compagni mi chiedevano sempre di fare delle fotografie, ma presto ho capito che ci rimettevo soldi e tempo. Dato che io e Gianni lavoravamo già insieme, gli ho proposto di prendersi oneri e onori; naturalmente il Professor Zevi si è accorto che il materiale presentato da diversi studenti proveniva da un’unica fonte e volle conoscerne l’autore. Col passare degli anni la mia collaborazione con Gianni diventa ufficiale: io scrivo libri e Gianni fa le foto dei giardini.
Gianni Berengo Gardin, San Francesco della Vigna: una delle foto che corredano Giardini Segreti a Venezia, di Tudy Sammartini e Cristiana Moldi Ravenna
Perfezionista come era, mi dovevo precipitare a nascondere fili d’erba e foglie prima che distruggesse le piante delle mie amiche… Davanti alle magie di Gianni ho smesso di fare foto, tranne in caso di necessità! Con Italo, già ben conosciuto fotografo, la storia è più semplice.
Italo Zannier, Il riposo, 1960
Eravamo compagni all’università, entrambi frequentavamo con piacere le lezioni di Bruno Zevi. Eravamo solo quattro gatti e, nelle belle giornate, seguivamo le lezioni o sulla terrazza del Cucciolo alle Zattere, i cui proprietari ebrei si erano rifugiati nella mia vecchia casa di Pieve e ci offrivano i gelati, o nel giardino di casa mia a San Vio affacciato sul Canalasso.
Dopo aver superato con successo gli esami artistici, mi sono incastrata con la matematica di cui non ho mai capito niente e frustrata a 21 anni sono andata a piantare caffè arabica a Rwobero dove la mia natura contadina si è scatenata. Con l’arrivo delle matata, ho dovuto tagliare la corda per evitare che i cannibali mi mangiassero!!
Anche dopo il Kivu fotografia e architettura non mi hanno mai abbandonata; la Rolleiflex è stata infatti fedele compagna di mio marito Ugo Sissa durante gli anni del suo operato come architetto. Il suo occhio quadrato gli ha permesso di spaziare dalle architetture ai frammenti archeologici, ai paesaggi esotici ai ritratti, facendogli accumulare più di 5000 negativi che ho ritrovato sepolti nei meandri di una cassapanca di casa.
Ugo Sissa, Casa ad appartamenti per conto dell’Istituto Nazionale Case per impiegati dello Stato (I.N.C.I.S.) di Cremona, 1949
Alla scoperta di questo tesoro ho subito chiamato Italo che mi ha messo al corrente dell’importanza del ritrovamento: come ricordava in un suo scritto del 1984 apparso in un catalogo di Ugo, il formato quadrato è stato davvero emblematico negli anni tra le due guerre ed era molto sfruttato dagli architetti-fotografi come Giuseppe Pagano, grande amico di mio marito. Nel 1936 Pagano e Daniel incominciavano il loro documentario sull’architettura rurale italiana e Ugo veniva pubblicato col suo “Ercole” nell’annuario “Fotografia” del Gruppo Editoriale Domus. Non so se sia stato l’unico architetto a farlo, ma Ugo ha sempre fotografato da sé le sue opere, solo lui sapeva trasmetterne il vero significato.
Ugo Sissa, Fiera di Baghdad, 1957-’58
Questo bel volume di Maria Letizia Gagliardi per Contrasto mi ricorda la stagione felice di quegli anni, animata nel mondo delle immagini dagli entusiasmi degli architetti, dei designer e dei grafici. Scriveva Cesare De Seta: “tra l’architetto e il fotografo c’è una relazione ben stretta, perché è la stessa mano che usa la matita o la Rollei: ma la stessa mano si serve di un mezzo e questo mezzo ha una sua autonomia”.
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