Venezia città di labirinti di acqua e di calli, rigurgita di storia, leggende e suggestioni. Quando fa buio, soprattutto nelle notti in cui la luna si nasconde dietro il sole, i fantasmi degli antenati si aggirano nei nostri sogni ad occhi aperti e ti raccontano le loro vite che possono essere banali, felici o tragiche.
Nel complesso predominano gli argomenti truculenti, a volte fatti realmente accaduti, a volte completamente inventati, te li senti appiccicati addosso quasi fossero un vestito troppo stretto.
I delitti ambientati a Venezia hanno sempre una nota particolare, fantastica, perché Venezia è considerata da sempre città del mistero a cui si aggiunge la sua dimensione storica, il suo passato, la sua decadenza, basta pensare alla “Morte a Venezia” di Thomas Mann.
La mania del giallo a Venezia esplode nell’Ottocento, tipico feudo di autori stranieri, i cui testi non sono stati quasi mai tradotti in Italiano.
Per esempio i dieci libri di Donna Leon, che alla mia domanda «Perché non in italiano?» risponde «Dovresti arrivarci da sola… perché fate una brutta figura!» La mia risposta è stata «Quanto scrivi non è la storia vera, ma la tua opinione. o meglio interpretazione». Mi pare superfluo fare l’elenco di quanti hanno scritto, diventa un rosario.. Fatto singolare, quasi tutte le loro storie sono ambientate nel Cinquecento mescolando come in uno zabaione storia ed invenzione.
Di recente anche i veneziani si sono dedicati all’argomento come il lidense Alberto Ongaro e in particolare l’amico Alberto Toso Fei, discendente di un’antica famiglia di vetrai muranesi, dove tante delle sue storie sono ambientate. Innamorato di Venezia scava con amore nel suo passato, scartabellando negli archivi e nelle biblioteche, ascoltando i meravigliosi racconti dei vecchi tramandati da padre in figlio.
Ogni libro di Alberto si occupa di un luogo particolare.
Ha al suo attivo libri su misteri e curiosità veneziane come: “Leggende veneziane, Storie di fantasmi”, “Venezia Ænigma”, “Misteri della laguna” e “Racconti di streghe” frutto di oltre quindici anni di serio lavoro.
L’ultimo, appena uscito per Studio LT2 sviscera i segreti del Canal Grande, che nel suo soggiorno veneziano (1494-95) l’ambasciatore francese Philippe de Commynes definisce la via più bella del mondo.
Il nostro autore crea un continuo gioco di rimandi tra le due rive del Canalasso dove i palazzi si guardano senza mai toccarsi, riflettendosi nello specchio dell’acqua quando non è masturbata dal passaggio delle barche a motore che col tempo li distruggeranno uno ad uno.
Un trucco ben congegnato divide in due il libro che da un lato descrive le rive de Citra e quelle de Ultra.
Piante e schizzi documentano ogni palazzo con i loro numeri di riferimento e sono illustrati ai piedi della pagina di cui si parla con la precisa documentazione storica di ciascuno arricchita dal pastrano della leggenda che lo riguarda.
Il libro si legge tutto d’un fiato perché sollecita la curiosità.
Le foto di Gianni Canton precipitano poi il lettore nei vari luoghi scoprendo dettagli nascosti.
È una guida molto dettagliata ed estremamente piacevole. Toso Fei ci racconta ad esempio perché molti palazzi hanno due guglie: tutti i capitani de Mar che avevano vinto una battaglia contro i turchi avevano il diritto di costruire sul tetto prospiciente al Canal Grande del loro palazzo due camini a forma di guglia col risultato che ogni edificio ne era decorato; caduta la Repubblica le guglie perdono il loro significato e come cadono non vengono più ricostruite.
Oppure in “L’abia o non labia Labia”, ci narra dello sfarzoso palazzo Labia che si affaccia di squarcio sul Canal Grande con il salone affrescato da Gian Battista Tiepolo. L’edificio apparteneva ad una ricca famiglia, forse di origine spagnola e vi si tenevano spesso delle feste sontuose; per stupire gli ospiti poi gettavano piatti e posate d’oro in acqua ma una potente rete li ricuperava subito. Mi ricordo il ballo di Besteguy tenuto al palazzo, ero in costume settecentesco da paggio una volta color turchese, proprio un baccalà! Dovevo rimanere immobile perché solo respirando sentivo crik e crok. L’ultimo proprietario di origine messicana, il Besteguy, sparì nel nulla come il Labia!
Grazie Alberto!