martedì 24 gennaio 2012

Cosa Venezia perde ogni giorno


Un cancello ricamato filtra il riflesso del Canale della Giudecca nel rettangolo dove trionfano giganteschi oleandri e cespugli di peonie: il regno dei gatti. Due scale esterne conducono alle abitazioni le cui facciate sono nascoste da piante fiorite. Accanto al musicologo abita un artista cubano famoso per le sue collane, mentre l’ala sulla fondamenta è il regno di un cantante rock che si diletta di arte scultorea in vendita nella sua galleria. La casa che delimita il perimetro si apre sul giardino segreto posteriore dove un albero troneggia sul prato decorato da fiori e lenzuola che sventolano al sole. E’ un albero speciale che sostiene una casa area, paradiso dei bambini.

(Estratto da Verde Venezia, i giardini della città d’acqua, di Tudy Sammartini con foto di Cesare Gerolimetto, Terra Ferma edizioni, 2011)

La Nuova di sabato 21 gennaio contiene un trafiletto: il 25 gennaio prossimo alla Casa del Cinema verrà presentato l’ultimo lavoro di Giovanni Morelli Prima la musica, poi il cinema (quasi una sonata: Bresson, Kubrick, Fellini, Gaál (Marsilio Editori, 2011).

Nell’indice del libro leggo: Il postiglione Cronos, Barry Lyndon e ancora il “cinema del Settecento” e mi rivedo con Kubrick, che abitava all’ultimo piano di Palazzo Contarini degli Scrigni in casa di miei amici a Ca’ Rezzonico, a discutere di come il personaggio era vestito davanti al ritratto di un cavaliere nella sala di Rosalba Carriera, personaggio che anni dopo ho rivisto tale e quale nelle prime scene del suo film Barry Lyndon che naturalmente è rimasto inciso nella mia mente come raro esempio di coerenza stilistica.

La cosa buffa è che Morelli ed io non abbiamo mai parlato di questo, quando sulla Fondamenta del Rimedio dove, prima di raggiungere San Giorgio, faceva rifornimento speciale per i suoi numerosi gatti. Una delle sue “bestiacce” mi aveva adottato, era il gatto nero che mi accompagnava immancabilmente al pontone strusciandosi alle mie gambe per salutarmi quando prendevo il vaporetto. Parlavamo di Biagio, il mio soriano, che educatamente accovacciato sul cuscino della sedia, mangiava tutto quello che mi mettevo in bocca, comprese le bucce di mela. Lo facevo ridere e benché, fosse stracarico, gli infilavo tra le braccia un vasetto di erba gattera che cresce vigorosa in mezzo ai miei fiori in salizada. Rideva quando mi diceva che dovevo fare il domatore perché Biagio si comportava come un cane, o quando gli raccontavo le prodezze di Molly, lo scimpanzé che divorava il gelato di crema ben nascosto nel frigo chiuso a chiave, o del dolcissimo ghepardo Mudy che, nel lontano 1952 ai tempi della mia piantagione di caffè in Kiwu, leccatami la mano ferita in un attimo l’ha trasformata in un soufflè ben riuscito. Oltre ad aggiornarci sui problemi dei nostri adorati animali, parlavamo di musica. Gli mostravo le note di Maderna che, quando ero ragazzina, veniva in giardino nella casa vecchia di Sant’Agnese ad ascoltare la pianola di de Falla suonata da un famoso pianista di cui non ricordo il nome. Il musicista aveva avuto l’autorizzazione di passare un periodo a palazzo Polignac. Dalla mia finestra a San Vio ho ascoltato brani di Beethoven, così affascinanti, ancora impressi nella memoria come pietre miliari.

Proprio loro mi hanno fatto scoprire nelle soffitte i tesori di quando la Principessa Polignac riceveva musicisti e commissionava brani a Stravinskij… Ho scoperto Djagilev e molto altro che mi ha aperto la testa.

Parlavamo di tante cose sia semplici che importanti, ogni giorno quando attraverso il ponte del Rio di San Sebastiano e non vedo più la sua sagoma appoggiata al muro il cuore mi si riempie di tristezza.

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